In via preliminare va brevemente ricordato che, ai sensi dell’art.1 del D.lgs. n. 112 del 2017, possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati (inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del Codice civile) che esercitano in via prevalente un’attività d’impresa di interesse generale (di cui all’art.2 del D.Lgs. n.112 del 2017), senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Detta qualifica non può essere acquisita da società unipersonali e da Amministrazioni pubbliche. Mentre le cooperative sociali ed i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di impresa sociale.

La qualifica di impresa sociale, quindi, può essere assunta da diverse tipologie di enti; pertanto, anche dopo la recente riforma, per la determinazione dei redditi prodotti da dette imprese si deve fare riferimento alle norme tributarie ordinariamente applicabili alle diverse tipologie di enti che possono assumere la qualifica di impresa sociale.

L’acquisizione della qualifica, tuttavia, comporta l’assunzione di determinati vincoli, fra cui l’obbligo di destinare i propri utili o avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o a incremento del proprio patrimonio, con possibilità di distribuzione ai soci solo nei limiti previsti dall’art. 3, comma 3 del D.Lgs. n. 112 del 2017.

Nello specifico, ai sensi di tale ultima disposizione l’impresa sociale può destinare una quota inferiore al 50% degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, alle seguenti finalità:

ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti, oppure alla distribuzione, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato

ad erogazioni liberali in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società da questa controllate, finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.

Tale limitazione alla facoltà di distribuzione degli utili o degli avanzi di gestione è stata compensata, in occasione della riforma del Terzo settore, con l’adozione di alcune ipotesi di detassazione degli utili, in analogia con quanto già previsto per le cooperative sociali5 e per i consorzi tra piccole e medie imprese6. Tenuto conto della peculiarità di quegli enti che acquisiscono la qualifica di impresa sociale, le misure adottate in occasione della Riforma si collocano in un’ottica di equità fiscale e pieno rispetto dei principi costituzionali che fondano il nostro ordinamento.

Entrando, quindi, nel merito delle misure adottate, va in primo luogo evidenziato che le medesime sono state recentemente oggetto di modifica a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 20 luglio 2018, 95 (il Decreto legislativo recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, ai sensi dell’articolo 1, comma 7, della legge 6 giugno 2016, n. 106” – di seguito anche solo “il decreto correttivo”8). Per chiarezza espositiva, quindi, nell’affrontare il contenuto delle misure fiscali in esame, si darà atto anche dell’iter normativo che le ha interessate.